IL RITO DELLA LAUREA
Nel XVI secolo il raggiungimento della laurea comportava una cerimonia collettiva, che vedeva la partecipazione dell'intera cittadinanza. A Padova si svolgeva all'interno del Duomo, alla presenza del Vescovo e dopo una messa solenne. Era pertanto una delle più solenni manifestazioni universitarie: nella cattedrale addobbata a festa per l'occasione, si imponeva la corona d'alloro al nuovo laureato, che indossava sontuose vesti di seta e portava uno scettro ed una corona. Erano inoltre presenti all'avvenimento il Rettore, in toga di velluto rosso ed ermellino, il Podestà, le Nationes, nei loro costumi, i Lettori, togati anch'essi, i bidelli, che reggevano le mazze, e gli scolari dello studio, che recavano, su cuscini di seta, statuti e sigilli dell'Università. Tutti questi elementi contribuivano a creare un’atmosfera altamente formale e solenne, in corrispondenza dell’importanza ed ufficialità attribuite all’evento. La laurea era resa pubblica, spesso anche se non sempre, con la pubblicazione di un bando, sotto forma di manifesto, in cui l’annuncio del lieto evento era seguito dalle congratulazioni di colleghi, amici e parenti. Questi manifesti potevano contenere anche sonetti, epigrafi ed iscrizioni, già prima della nascita della goliardia moderna, per influenza della forte tradizione, molto viva in passato in tutta Italia, di celebrare gli avvenimenti significativi del corso di vita con la composizione di canti e poesie, di carattere serio ma anche scherzoso e sboccato, talvolta distribuite ad amici e parenti sotto forma di stampati. Tuttavia questi erano comunque molto diversi dal papiro odierno, dato il loro contenuto serio e retorico di esaltazione morale ed intellettuale dello studente stesso.
Questi sono i presupposti storici della tradizione del papiro, dai quali prende spunto la goliardia moderna, attiva a Padova fin da fine ‘800 – inizio ‘900, per elaborare il proprio caratteristico rituale. I primi riti di laurea goliardici nascono, infatti, proprio come parodia e rovesciamento della pomposa cerimonia ufficiale: il laureato viene vestito di stracci anziché di vesti di seta, gli viene consegnato un fiasco o una scopa anziché uno scettro, è magnificato in un manifesto per le sue qualità di bevitore, giocatore o conquistatore invece che per la sua moralità e sapienza.
Il papiro di laurea ha il suo antecedente temporale nel papiro matricolare. Questa tradizione si è affermata negli anni ’60, con l’abitudine goliardica di costringere la matricola, in modi più o meno gentili, a sottoscrivere un documento, che serviva come lasciapassare all'interno delle mura dell'università e costituiva una sorta di difesa dagli assalti di altri goliardi più anziani. Erano questi ultimi infatti che lo fornivano, dietro pagamento in Bacco, Tabacco e Venere, cioè con ricompense in alcolici, in sigarette o in favori femminili, e rimanevano poi pronti a trovare cavilli di ogni tipo per poter correggere il papiro stesso con codicilli, in modo da estorcere altre offerte al nuovo studente.
Anche il fatto che il laureato debba leggere il papiro in piedi su una panchina trae le sue radici dalla tradizione goliardica, che si è intrecciata poi con le limitazioni imposte dalle autorità alla spericolatezza dei neolaureati. I goliardi avevano infatti l'uso di spedire i propri laureati o sulla statua del Cavour o sui balconi del Municipio, a leggere il proprio papiro tra gli sberleffi degli amici.
Anche la cosiddetta "mutandatio", cioè lo spogliare il laureato e lasciarlo in mutande in pieno centro di Padova, una volta era prerogativa esclusivamente goliardica, tenendo conto, del resto, che il senso del pudore era molto più rigido negli anni ’50 e ’60 rispetto ad oggi. Quest’atto aveva un significato fortemente anticonformista, in aperta opposizione alla mentalità borghese, molto attenta invece alle apparenze, al vestito assunto a simbolo del ruolo di un individuo nella società.Un’altra valenza che può essere riscontrata nello spogliare il laureato, sottoporlo a scherzi, insulti e penitenze varie, è quella di impedire che si monti troppo la testa, di ricordargli che, anche se ha assunto uno status socialmente più elevato con il conseguimento della laurea, è pur sempre la stessa persona, con gli stessi pregi e difetti che aveva prima. Un po’ come avveniva nell’antica Roma quando, a fianco del generale, vittorioso in guerra, che celebrava il trionfo, uno schiavo aveva il compito di ripetere: "Ricordati che sei mortale".
La lettura del papiro viene quindi vissuta anche come una prova iniziatica: il laureato deve riuscire a leggere senza compiere errori e senza esitazioni, cosa pressoché impossibile, data l’eccitazione del momento e la difficoltà di testi in rima, in dialetto, in gergo. La sanzione rituale (e anche questa, di ascendenza goliardica) per gli errori è il bere vino, su ordine generalmente degli amici accompagneto dal celebre coro: ' dottore, dottore, dottore del buso del cul, vaffancul, vaffancul! ' .




